A me spesso dà più emozioni forti un FPS che una poesia. Il senso primitivo della caccia, della lotta e del nascondersi, il fucile/bastone appuntito che uccide il giocatore avversario/mammuth espongono il mio lato animale. Resistance in multiplayer mi colpisce e mi appaga più di Coelho, che tenta di spiegarmi la vita in tre mosse.
Quello che voglio dire è che i canoni vanno stretti al mondo dei media e della cultura odierne. Tantomeno la definizione di arte come di "ciò che fa riflettere sulla vita e sulla morte" mi sembra convincente. Il romanticismo e l'umanesimo sono finiti da tempo. Viviamo in una società post moderna, ed è impossibile far finta di niente e considerare l'arte come il mondo del sublime come se fossimo ai tempi di Baudelaire. La letteratura, ad esempio, si è talmente diversificata che ha rotto qualsiasi schema preesistente. Borges, Calvino, Gibson, Dick, per dire i primi che mi vengono in mente, hanno raggiunto vette altissime di qualità, ma probabilmente non c'è una sola pagina di ciò che hanno scritto che possa commuovere o fornire spiegazioni sull'intima natura dell'uomo.
Il quadro, poi, è ancora più complesso visto che il videogioco è ontologicamente diverso dalle forme d'espressione narrative. Pretendere da un videogioco le stesse cose che si hanno nei film o nei romanzi è come pretendere di andare in bicicletta e avere le stesse sensazioni di quando si mangia la pasta con le sarde.
Piangere per un videogioco... chi ne ha bisogno? Mi sembra, insomma, che a pretendere "artisticità" classica da un videogioco si tradiscano le caratteristiche del mezzo. Se c'è un'arte videoludica, quindi, è più arte Super Mario che Metal Gear Solid 2 (che pure è un gioco che adoro).
PS per chi me lo chiedeva: La frase che ho in firma è presa da una canzone di Vinicio Capossela. E sì, si riferisce a Sansone. Mi piace perché descrive bene un mio recente periodo e mi sembra anche una bellissima immagine. Non combattiamo tutti ogni giorno per difendere ciò che siamo?