Autore Topic: Parliamo di GDR (quello vero)  (Letto 82424 volte)

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Offline SkyWing

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #60 il: 23 Mag 2008, 12:53 »
Ma dove andrà a finire la poesia di un Raistlin che dopo aver lanciato gli incantesimi fiotta sangue e ha bisogno di 14 ore di sonno per riuscire a camminare di nuovo? :(

Forse sto diventando vecchio e conservatore...
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Offline Alle

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #61 il: 23 Mag 2008, 14:25 »
Ma dove andrà a finire la poesia di un Raistlin che dopo aver lanciato gli incantesimi fiotta sangue e ha bisogno di 14 ore di sonno per riuscire a camminare di nuovo? :(

Forse sto diventando vecchio e conservatore...

a parte che dopo il primo libro e mezzo Raistlin diventa il classico powerplayer :P

In ogn caso ci sono 3 edizioni e mezzo di D&D con maghi e chierici che lanciano incantesimi contati, non c'è che l'imbarazzo della scelta ;)
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Offline Gatsu

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #62 il: 23 Mag 2008, 17:53 »
Madonna, ma serve davvero una quarta edizione di D&D?

In compenso io ho iniziato un play by mail con alcuni del mio gruppo storico. L'abbiamo chiamato "Raam". Ambientazione fantascientifica, pochissime regole risolte con il sistema Sine Requie (da me). Due mosse a settimana.

Vi posto la prima mossa, poi se vi interessa ve ne metto altre. Se conoscete Palaniuk magari riconoscete il pezzo.

---

Prologo

Tre mesi. Tre mesi che siete in viaggio. Tre mesi che tutto quello che vedete dagli schermi della Raam non è altro che un oceano di stelle. La Terra l'avete persa di vista dopo dieci giorni. Era bella, la Terra. Alcuni di voi l'avevano già vista da fuori. Antoine nemmeno sembrava farci tanto caso, per lui era la terza volta. Ma per molti altri quella dallo spazio era una prospettiva nuova. Una cosa che ti stringe lo stomaco e ti fa quasi piangere da quanto è grande, e bella, e luminosa, anche se ti ci prepari da tutta la vita. Poi è diventata un puntino. Alla fine è scomparsa senza rumore, la sua luce s'è spenta in silenzio, e nel momento in cui è successo siete rimasti tutti fermi per alcuni attimi, perchè era come se un legame si fosse rotto, come se una parte di voi che non vi aveva mai abbandonato tutto d'un tratto fosse stata succhiata via. La Luna se n'era andata anche prima, viste le ridotte dimensioni. Dopo tre giorni di viaggio gli siete passati accanto, controllando dagli schermi la posizione della base lunare. Il dottore vi ha raccontato di averci passato alcune settimane laggiù, un paio di anni prima.
Dopo altri tre giorni il satellite della Terra era diventato un ricordo. Poi, per settimane lunghe come mesi, il niente. Marte vi stava osservando da lontano, ogni giorno un pochino più grande ma ancora talmente distante da sembrare irraggiungibile.

La vita a bordo, a parte la noia, non è male. Siete in dieci, dieci scienziati provenienti da diverse aree di ricerca per massimizzare la produttività una volta raggiunto il pianeta rosso. I vostri compagni di viaggio sono Avigail Satieel, ingegnere, Szczepan Błażej, biologo, Antoine Flambert, medico di bordo, Igor Volk, meccanico, Oleg Valerievich Kotov, esperto di nanomacchine e terraforming, Heide Marie Michalka, psicologa, Bea Schirge, fisica, Sunita Williams, geologa, Mae Jeminson, co-pilota e Scott Douglas Altman, il capitano. Un gruppo internazionale. Dopo tutto questo tempo, iniziate a considerarli una specie di famiglia. Alcuni vi piacciono, altri meno, ma in uno spazio tanto ristretto è il minimo che possa accadere. E sulla Terra non è che andiate d'accordo con tutti i parenti.

La vostra missione si chiama Eden02, seguito di Eden, la missione portata avanti dai colleghi che raggiungerete fra qualche mese.
Il gruppo Eden è partito due anni fa a bordo di una nave chiamata Auriga. Scopo della loro missione era installare la prima base umana su Marte e iniziare un limitato processo di terraforming nelle zone adiacenti alla base. Per il gruppo spaziale internazionale ESA/NASA, Eden è stata un completo successo ed il vostro compito è continuare nel solco dei vostri predecessori, portando riformimenti e nuovi macchinari per fare in modo che il terraforming di Marte inizi su larga scala entro i prossimi mesi. Secondo i piani, dovreste essere in grado di lasciare il pianeta entro Marzo 2028.
L'ESA/NASA spera di essere in grado di spedire i primi civili su Marte entro due anni e diversi governi hanno già espresso interesse nell'utilizzare il suolo marziano come base per progetti di ricerca nel caso il terraforming vada a buon fine. Il che significa, lo sapete bene, rendere sicure almeno alcune macroaree del pianeta. Sul lungo periodo, siete coscienti che tutti ripongono nel vostro operato grandi speranza per l'eventuale inizio di una colonizzazione di massa come rimedio alla sovrappopolazione che sta drammaticamente drenando le risorse del pianeta Terra.

Lungo tutto il tragitto siete rimasti in contatto giornaliero con Huston, che quando possibile vi invia i messaggi preregistrati dei vostri familiari. Vi mandano delle email, ogni tanto una foto, qualche volta anche un video. Il comandante dell'operazione che vi segue dalla Terra si chiama Adrian Campbell. Un uomo austero, spesso accigliato, ma che sà perfettamente come comportarsi in ogni occasione.
Apofyge, la base su Marte, non è al momento raggiungibile a causa dei venti solari che indeboliscono il segnale, ma nelle prossime settimane, con l'avvicinarsi al pianeta, la situazione dovrebbe cambiare e voi dovreste essere in grado di entrare in contatto con il gruppo Eden per stabilire in largo anticipo le manovre di atterraggio.

16 Febbraio 2027 10.21 AM - A bordo della Raam

Attorno al tavolo della Dining Area cercate di ammazzare il tempo. Szeczepan mangia dei cereali liofilizzati. Sunita legge dati da un computer e scrive in uno di quei suoi piccoli quadernetti marroni delle note di carattere geologico sul suolo dell'Ares Vallis, il punto in cui fra alcuni mesi la Raam atterrerà. Pare che potrebbero esserci dei problemi di slittamento del terreno perchè la Raam per qualche motivo è più pesante di quel che vi avevano anticipato. "Ma ancora non è sicuro", dice Sunita, "ci sto lavorando".
Il capitano è seduto su una delle poltrone della sala a fianco, quella con le riviste e le schermo per i film. Ha le gambe allungate su un poggiolo e guarda fisso davanti a sè. Sentite i suoni di un film, ma non sembra che ci stia pagando particolare attenzione. Si tiene il mento con una mano, ha due dita davanti alla bocca, e pensa. A cosa stia pensando, non vi è dato saperlo.
Igor sta raccontando una storia. Avete scoperto che non è esattamente un signore ed ha una certa tendenza a raccontare anneddoti pieni di gente che muore ammazzata o che scopa o che perde tutto o che fa cose terribili. Poi ci ride sopra. Le storie non sono nemmeno male, a dirla tutta, solo che è difficile capire quali si inventa e quali contengono un qualche barlume di verità.
"...e insomma secondo un testimone l'assassino emergeva dalla baia e scavalcava strisciando il bordo del muraglione frangiflutti. Un altro testimone vide il mostro, grondante di liquami, scivolare fuori da un tombino. Quelle stesse persone dissero che i segni rilevati durante le autopsie erano compatibili con un violento colpo assestato con il dorso di una zampa da una lucertola gigante che deambulava sulle zampe posteriori. La cassa toracica sfondata era la prova inconfutabile del fatto che la vittima fosse stata calpestata da un dinosauro nato per regresso filogenetico. Era una cosa che si muoveva rapidamente, dicevano le altre persone, rasoterra, troppo veloce per essere un animale. Oppure era un maniaco che si aggirava con un martello gigante da venti chili." Igor si ferma, mima con le mani un martello che cala sul tavolo e BAM, lo schiocco delle sue mani risuona in tutta la sala svegliando il capitano dal suo stato catatonico. "Secondo un testimone, era il Dio dell'Antico Testamento che colpiva gli esseri umani. Qualcosa che li schiacciava come mosche con una zampa gigante. Nera come le più nere delle notti. Silenziosa e invisibile. Ognuno di loro vedeva una cosa diversa". Sunita lo guarda, poi gli dice "puoi piantarla di dire cazzate?". Igor fa una risatina e conclude "Ciò che conta mia cara, è che la gente ha bisogno di un mostro in cui credere."
Le luci della stanza si affievoliscono per un attimo, i neon fanno quel suono, "blink blink", poi tornano alla loro temperatura abituale.

Heide Marie, la psicologa di bordo, entra nella sala appoggiandosi allo stipite della porta: "Ok ragazzi, ho quasi finito il giro mensile di sedute. Devo sentire ancora..." guarda un quadernetto, poi alza lo sguardo di nuovo "...mi mancano ancora Stephan, Avigail e Antoine. Chi vuole venire?" Rimane lì in attesa di risposta, osservando il tavolo con i suoi occhi blu, grandi ed acquosi.
Pochi attimi dopo Mae, la co-pilota, entra di fretta dal corridoio di prua.
"Igor, abbiamo un problema".
"Che c'è?", dice Igor, ridacchiando ancora per la storiella che ha appena raccontato.
"La plancia segnala una perdita di energia al motore B234, è meglio se vai a controllare."
Igor sbuffa. "Ancora? Cazzo, sarà la terza volta negli ultimi venti giorni. E' solo un contatto Mae, non succede niente."
"Sì, ma vai a controllare, se non vuoi che ti scaraventi fuori la prossima volta che passi per la camera di depressurizzazione", dice Mae con la faccia imbronciata.
Igor sospira, poi fa "d'accordo vostra altezza...". Fa un mezzo inchino per prenderla in giro, poi si gira verso il tavolo. "Ok, ho bisogno di due di voi per spostare quel maledetto rack di cavi e cianfrusaglie che sta davanti al pannello dei motori. Pesa troppo, l'ultima volta per poco non me lo tiro addosso".
"Stai parlando del server che permette ai motori di funzionare?", chiede Sunita senza staccare gli occhi dal computer.
"Proprio quello. Allora, qualche volontario?", chiede Igor, guardandovi.

Offline Alle

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #63 il: 12 Giu 2008, 17:11 »
Si beh, intendevo che generalmente chi gioca a d&d gioca per i combattimenti,
non perche' gli piaccia che, ad esempio, il proprio personaggio sia uno psicopatico che uccide, beve sangue,e aspetta la redenzione del signore.

In quell'ottica se lo han reso piu strategico e' un bene secondo me.

ma quello lo puoi fare anche in D&D. Per il gioco di ruolo "puro" non servono regole secondo me, al massimo qualche linea guida.
Uno può benissimo "giocare di ruolo" a D&D e in più avere per le mani un sistema di combattimento complesso (nel senso di tattico).
Poi chiaro che la Wizard spinge sotto sotto per un gioco incentrato sul combattimento, così vende i supplementi e le miniature (e gli inutili tools dell'Insider) :D
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Offline Noldor

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #64 il: 12 Giu 2008, 17:32 »
incuriosito l'ho scaricato per dargli un'occhiata. Sembra D&D incontra World of Warcraft che incontra il power playing. Il tutto ben strutturato ed a prova di niubbo.

powerplayer no di sicuro, ho letto in giro che si muore che è un piacere se si va all'ignoranza.
E hanno pure troncato (nel senso di molto ridotto) il multiclassamento, quindi niente combo o accrocchi strani.
[CUT]Uno può benissimo "giocare di ruolo" a D&D e in più avere per le mani un sistema di combattimento complesso (nel senso di tattico).[/cut]
ah ottimo allora, il mio era solo un giudizio dato a caldo dalla lettura fino alla creazione delle classi.
ti quoto sull'ultima frase, in fondo è sempre stato così con D&D
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Offline Daimon

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #65 il: 12 Giu 2008, 17:34 »
Si vabe Alle certo che lo sappiamo: i regolamenti sono meri mezzi; ma non possiamo
negare che ci siano giochi che fanno dell'ambientazione e della narrazione il fulcro
e altri che no, tutto qua.
Poi chiaramente con la fantasia fai tutto.
Ma se devo inscenare qualcosa di drammatico, mai userei
il regolamento di d&d, perche? perche mi sarebbe in gran parte inutile.
Vado di mondo di tenebra e via.
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Offline Alle

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #66 il: 12 Giu 2008, 17:52 »
dipende, se per te drammatico è sinonimo solo di "vampiro" allora è un po' difficile in effetti.

Io ad esempio non apprezzo per niente in WoD, i personaggi sono sempre "in posa" e il più delle volte i png sono isterici e in premenopausa
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Offline Daimon

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #67 il: 12 Giu 2008, 18:04 »
Era per dirne uno di quel tipo, sicuramente e' uno dei vari sinonimi di
drammaticita', c'e' kult, anche, come esempio.
Sappiamo che i  manuali sono propedeutici, non fanno il gioco; pero', se ho in mente un  certo tipo di storia, leggo manuali che vanno in quella direzione.
Il sistema di narrazione e' pieno di spunti a tal proposito.

In secondo luogo, ovviamente la gente fa il gioco, se tu non apprezzi il
wod perche trovi checche ed isterici, beh hai giocato sicuramente con persone
sbagliate.
Se devo considerare la fantasy in generale, martelli da guerra, d&d, girsa
per la gente con cui ho giocato... dovrei dargli fuoco.

Ma ripeto si, un gioco che gia' ti consegna, e in qualche modo costringe gia
partendo  dalla creazione del personaggio tematiche di fondo piu' complesse, ti
dirige per un certo tipo di gioco.
Che poi pure a toons puoi creare contesti drammatici, sicuramente.
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Offline Xibal

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #68 il: 12 Giu 2008, 18:07 »
E beh rompo la mia tradizione di coluichenonapreitopic per inserirne
uno che mi pare manchi.

IL gioco di ruolo, quello vero quello con cui gygax almeno prima
di mettersi a scrivere pessima narrativa, campo'.

Che sia d&d, stormbringer, toons, mondo di tenebra.

Possiamo postarci link notizie e pareri di questo delizioso genere
di giochi che purtroppo, non mi pare, goda ancora oggi della
fama e diffusione che meriterebbe.

Io attualmente gioco al delizioso gdr di mutant chronicles
qua trovate un sacco di materiale al riguardo : http://www.mutantpedia.com/GDR.html

Saluti.
Bella iniziativa.
Io gioco ormai da più di 15 anni, e dopo aver provato di tutto(per lungo tempo siamo stati molto affezionati a Gurps per il suo realismo e versatilità, ma col tempo ne abbiamo ravvisato pesanti difetti di bilanciamento nelle Caratteristiche), assieme al mio zoccolo duro, abbiamo deciso di creare qualcosa di ex novo che venisse incontro alle nostre esigenze di flessibilità ed interpretazione, con una interferenza del dado ridotta all'osso(tra virgolette) per prediligere la componente recitativa ed interpretativa(fino alla gestione "registica" di scene).
Quando sarà meglio rifinito magari posto il regolamento generico, per adesso  stiamo giocando ad una ambientazione sulla grecia mitica per testare il regolamento e bilanciarne i difetti, basata sul concetto di hybris, la famosa tracotanza o superbia che porta gli eroi mitici alla rovina, ma anche a compiere imprese leggendarie prima che la collera degli dei gli piova addosso.

Il mio personaggio non poteva non essere il mitico Kratos, che ho potuto recuperare essendo che, incredibile dictu, i miei compagni di ventura non lo conoscono.
Se siete temerari vi posto pure il background:)
« Ultima modifica: 12 Giu 2008, 18:17 da Xibal »
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Offline Xibal

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #69 il: 12 Giu 2008, 18:14 »
In verità possiedo una copia un po' vecchiotta del regolamento, però prima di postarla dovrei chiedere lumi al master, visto che nelle sue intenzioni ci sarebbe, terminato il periodo di testing, di cercare un editore(dopo che il sottoscritto l'abbia tradotta in inglese, bastardo).
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Offline Alle

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #70 il: 12 Giu 2008, 20:49 »
Era per dirne uno di quel tipo, sicuramente e' uno dei vari sinonimi di
drammaticita', c'e' kult, anche, come esempio.
Sappiamo che i  manuali sono propedeutici, non fanno il gioco; pero', se ho in mente un  certo tipo di storia, leggo manuali che vanno in quella direzione.
Il sistema di narrazione e' pieno di spunti a tal proposito

Certo, ma sempre per restare su D&D ci sono parecchie ambientazioni che possono ispirare vari stili di gioco:

Forgotten Realm: fantasy caciarone e bullesco, ma per molti altri versi esaltante
Ravenloft: una specie di WoD per D&D
Dragonlance: una fantasy più pacato dei FR, ma non meno epico
Eberron: per chi ama lo steampunk
Mystara: per chi ama i maghi
Maztica: per chi ama gli ambienti esotici e le giungle
L'irraggiungibile est: per chi ama i miti e le culture orientali
Dark Sun: un mondo per certi versi post-apocalittico alla Fallout

Forse la vera pecca di D&D è appunto essere troppo vasto. Troppa roba, troppi manuali, troppe ambientazioni.
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Offline Gatsu

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #71 il: 12 Giu 2008, 21:22 »
Il mio personaggio non poteva non essere il mitico Kratos, che ho potuto recuperare essendo che, incredibile dictu, i miei compagni di ventura non lo conoscono.
Se siete temerari vi posto pure il background:)

Bella Idea, Mythos l'hai visto? E' della rose & poison. E' proprio per la roba "alla 300". Posta posta.

Offline Xibal

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #72 il: 14 Giu 2008, 01:28 »
Il mio personaggio non poteva non essere il mitico Kratos, che ho potuto recuperare essendo che, incredibile dictu, i miei compagni di ventura non lo conoscono.
Se siete temerari vi posto pure il background:)

Bella Idea, Mythos l'hai visto? E' della rose & poison. E' proprio per la roba "alla 300". Posta posta.
Non lo conosco, comunque quando sento il Master(domani diciamo) posto il regolamento aggiornato agli ultimi ceselli.

Il background di Kratos è solo una riscrittura della sinossi che già conosciamo, col permesso di Daimon, se non vado OT(atrimenti edito immendiatamente), ne posto uno diciamo più originale(ispirato ad un personaggio del manga Cestus) che ho utilizzato nel frattempo che Kratos aveva compiuto, a causa di una maledizione di Apollo che lo aveva reso pavido in combattimento, l'estremo gesto di suicidarsi(yes, nell'ambientazione è previsto che i personaggi subiscano anche il "pathos" delle loro avventure, e possano rischiare di desiderare la morte), in attesa del suo ritorno successivo.

Ehr, lo devo postare in un altro post che ho superato la soglia massima consentita di caratteri( :-[).








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Offline Xibal

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #73 il: 14 Giu 2008, 01:32 »
                    THERIANDROS IL GRIFONE DEL VENTO INSANGUINATO.

Il vento dell'Attica, Zefiros e Aurora, hanno sempre avuto una predilizione per questa terra, e la accarezzano con le loro brezze marine che scompigliano i capelli e li intringono di salsedine.
Io ormai non posso dire di avere predilizione per nessun luogo, in ogni dove le sferzate delle mie lame colpiscono con uguale intensità i corpi dei miei avversari scelti, e l'aere si tinge di rosso, il rosso del sangue.
Un vento insanguinato, questo è il mio nome nella battaglia, e poichè la battaglia è la mia vita e la mia casa, esso è il nome del luogo che prediligo.
Eppure, eppure qui nell'Attica ove gli dei hanno deciso di darmi i natali, qui vive un sentimento che in me si risveglia nei momenti di silenzio, e in essa mi riporta con la forza della nostalgia.
Il Grifone dell'Attica, questo era il mio nome, questa era la mia casa, nei tempi in cui non avevo battaglie da combattere o uomini da abbattere, che non fossero la mia immagine riflessa negli specchi d'acqua.

"Grifone del Vento Insanguinato, sempre con la testa fra le nuvole tu sei, il Maestro ti compatirebbe se io parlassi ora..."
La voce di Ciclope dell'Uragano è cupa e profonda, e si abbatte su di me improvvisa come un flutto inaspettato che voglia rovesciare la nave.
Nulla o poco conosco dei miei compagni di ventura, sono discepoli e avversari nella mia crescita verso la perfezione, l'unica vera forma di aretè che gli dei apprezzino al di sopra di ogni devozione direbbe il Maestro, e solo gli dei sanno quanto io voglia...quanto io voglia essere apprezzato.
Ciclope insiste e mi scosta dal tribordo della nave burlandosi di me, gli piace prendersi quel che ritiene gli spetti di diritto per via della sua forza, e io lo lascio fare, l'ho sempre lasciato fare, a me piace chiedere le cose per cortesia, è così che mi ha insegnato il Maestro, è così che la morte assume dignità sia per la vittima che per il carnefice.
A me piace fare così, perchè così piace al Maestro.
Mi sposto lentamente verso babordo,la vista non cambia, il mio stato d'animo neanche, odo distintamente Ciclope parlare da solo ad alta voce, se la prende col mare, col vento, con tutti...lascio che la sua voce roboante diventi un ritmo indistinto che mi aiuti a tornare alla mia nostalgia, a quel pensiero confuso che mi stringe il petto quando volgo lo sguardo ad Ovest, all'Attica.
Al tempo in cui nessuno mi insegnava la cortesia e la morte.

"Mostro, sei un piccolo mostro schifoso figlio mio...hihihi...ma la mamma ti vuole bene,hic...vuole bene a te, e a Bacco eh ehhhh".
Ondeggiava come un fuscello marcio di pioggia al vento della tempesta che le scuoteva i sensi, mia madre, o quanto ne restava nei momenti in cui faceva l'amore con i frutti della terra, aggrappandosi goffamente alle suppellettili di casa, rovesciando vasi, strappando tessuti, rovinando a terra tra risa e singulti ebbri.
Chi era quella creatura bellissima a cui nemmeno i fumi del vino riuscivano a togliere grazia, anzi aggiungendo al suo viso quel rosso fuoco sulle gote che tanto gli uomini bramavano?Poteva ella essere mia madre?
Mi chinavo mestamente raccogliendo i danni qua e la, mentre lei mi indicava continuando a ridere e biascicando improperi verso il suo vecchio marito, morto in guerra e lasciatala sola ad affrontare la vita con un figlio.
Come avrebbe potuto lei da sola sobbarcarsi tutto, senza un aiuto non disinteressato di qualche gagliardo giovane?
Un coccio di argilla rotto in mille pezzi alla mia destra, un calice scheggiato a sinistra, un piatto di bronzo di fronte a me, il mio volto in esso.
Il mio terribile volto, dissimile da qualunque altro avessi avuto la sorte di spiare da lontano, o la malasorte di incontrare faccia a faccia, instillando moti di orrore, o peggio, di scherno.
Quale che fosse la cagione di quella maledizione inspiegabile agli occhi di un fanciullo, mia madre l'avrebbe liquidata sempre con la storia della cattiveria di mio padre, e di come le colpe dei padri ricadano sui figli.
Io annuivo e piangevo a dirotto ogni volta, trascinandomi in un angolo della casa come un cane bastonato, le mie favole della buonanotte...
Ma le lacrime non erano per il racconto delle origini del mio male, ma per quello che le mie orecchie spiavano quando assieme agli occhi fantasticavo di dietro qualche cespuglio sulla vita degli uomini benedetti dagli dei.
Ed essi, gli uomini benedetti dagli dei, raccontavano di me, del Grifone dell'Attica, del mostro generato dalle voglie incontenibili di una vedova libidinosa, che per soddisfare la sua sete di passione non aveva mancato di accoppiarsi persino con una bestia del mito.
Raccontavano, e ridevano.
La nave beccheggia bruscamente e mi riporta al presente, non è la voce di Ciclope, ma un flutto inaspettato che vorrebbe rovesciare la nave.
Ma ora al sapore salmastro di Zefiro sembra essersi unita una nuova fragranza, profumatissimo olio di nardo dagli inebrianti sentori di femmina, un unguento che solo donne audaci e sfrontate oserebbero mai lasciare che uomini qualsiasi intuissero sul loro corpo.

"Medusa dai due Serpenti...", la mia voce è sommessa, sono ancora in parte immerso nei miei pensieri, ma non è solo questo, Medusa è donna di bellezza pari soltanto alla sua spietatezza, e per un uomo come me non c'è forse nulla di più spietato che ostentargliela lascivamente di sotto il naso.

"Grifone, ci appressiamo lentamente alla tua terra natale, chissà quante donne ci saranno ad attendere il tuo ritorno...", sogghigna, ma non è cattiveria, la mostruosità fisica è un concetto inutile, alieno alla nostra scuola, piuttosto seducente malizia.
Mi sfiora la schiena possente con i suoi seni turgidi, mentre le dita affusolate come la punta delle sue letali fruste stringono le mie spalle graffiandole, "Poche sono le donne che sappiano apprezzare la bellezza di un fendente perfetto nella sua plastica estensione, il vortice di sangue purpureo che riempia l'aria con la sua densa corposità.Grifone, sei un vero mostro di potenza...".
Le sue ultime parole sfumano suadenti come il dolce miele, lasciando quel retrogusto amaro che forse il miele non si aspetta, ma chi l'assaggi assapora ogni volta;si allontana da me sorridendo, sa di avere scosso il mio corpo e il mio spirito, sa di avermi sedotto ancora una volta.
Sa che io so' che un amplesso con lei finirebbe in un vortice sanguigno non dissimile da quelli prodotti dalle mie lame, gli uomini cadono ai suoi piedi in ogni caso, che usi la favella, il corpo o le armi.
Medusa, mia splendida compagna, hai trasformato la tua bellezza nella tua più grande mostruosità, chissà qual'è la tua cagione.
La osservo allontanarsi ancheggiando civettuola ma composta, il Maestro non ammette che si perda di eleganza nel muoversi dinnanzi agli altri, sarebbe una mancanza di cortesia.
Chissà qual'è la cagione di Thanatos, il mio Maestro.
La mia, ci volle poco tempo a figurarmene se non altro un accenno di origini, e come tutte le cose iniziano, anche questa precipuò allo stesso modo, dal molto piccolo.
Il sole inizia a picchiar forte sulla mia fronte, mentre il vento di Zefiros allenta la sua carezza sul mio volto imperlato di sudore, sembra che gli elementi si siano accorti che i miei pensieri volgano ora verso il fuoco della storia, quello che brucia le carni e lascia cicatrici inestinguibili.
Il piccolo furono l'ennesimo calice di troppo di vino di mia madre, e una mia accidentale difficoltà a prender sonno, visto che i sogni notturni erano i miei soli compagni, ciechi alla mia mostruosità, leali al mio bisogno di essi.
Mi a madre si lamentava ed agitava nel sonno, farfugliando parole incomprensibili, mentre io stavo sull'uscio di casa, fantasticando di dove venisse un ululato che si perdeva lontano nelle nebbie della piana.
Mi mossi lentamente verso l'interno, raccogliendo un pezzo di stoffa che avrei usato per detergerle la fronte e placare il suo tormento estatico, ma le sue parole paralizzarono ogni mia velleità di soccorso, fermandomi sull'uscio della sua stanza, le orecchie tese, il fiato rotto in gola, gli occhi umidi.
Parlava di Zeus, parlava...con Zeus?
Comprendere la verità e perdere i sensi mi sembrano oggi un tutt'uno, ma quei momenti dovettero apparirmi come senza fine allora.
La Lussuria di mia madre aveva corrispondenze di amorosi sensi addirittura divine, poichè lo stesso Padre degli dei si era spinto tra le sue braccia, trasformato in una bestia mitica, il Grifone, per possederla selvaggiamente, come immagino desiderassero fare molti uomini al tempo, quando ella era una donna a cui non si potesse chiedere altro che una passione travolgente ed insensata.
Io, Theriandros, ero il figlio di Zeus, ma non ne trattenevo alcun tratto divino.
Chiedermi il perchè non fu necessario, l'incubo di mia madre Lanteya continuava a raccontarmi di me.
Zeus non desiderava che l'ennesimo figlio suo destasse le ire della gelosa consorte, la divina Hera, e così per la prima volta forse si era sottoposto ad un seppur doloroso compromesso, dare alla luce un figlio non già divino, ma neppure umano.
Un mostro, il Grifone dell'AtticA, me.
La mia permanenza nel mondo di Hypnos non fu totalmente buia, il mio sonno e quello dei giorni a venire fu animato da strane visioni, in cui un vecchio canuto mi parlava dalla riva di una grande spiaggia.
Era gentile, mi carezzava la testa deforme con più amore di quanto non abbia mai fatto mia madre stessa, mi chiamava figliolo, e sembrava quasi scusarsi per la mia condizione, quasi che fosse sua la colpa, ma non mancando di aggiungere che quello sarebbe stato il nostro segreto, e che se non  avessi detto a nessuno che Zeus stesso mi aveva generato, il giorno che ne avessi avuto bisogno, mi sarebbe bastato recarmi sulla riva di quella spiaggia e gridare il nome del nume trai numi, per ricevere ciò che mi spettava, anche se non sarebbe mai stato quanto ricevuto da Eracle, o Dioniso.
Non diedi troppo peso a quelle visioni, mi facevano compagnia ed erano confortanti di contro ai deliri bacchici di mia madre, inoltre mi piaceva pensare di avere un segreto inconfessabile, un patto stretto con qualcuno, per quanto fosse immaginario, era tutto ciò che mi legasse al mondo esterno, tutto quanto avesse almeno la parvenza di una amicizia, di una parentela, di un affetto guidato da una disciplina, da un reciproco scambio di doveri.
Ma io ero e restavo un bambino, e i bambini non riescono a tenere i segreti a lungo.
Soprattutto se non hanno amici a cui raccontarli.
Decisi un giorno di procacciarmene come farebbe un cacciatore coi conigli, li avrei attirati con il mio aspetto, gli avrei raccontato sussurrando tutto eccitato il mio segreto, gli avrei detto che sarebbe dovuto rimanere tra di noi, il nostro patto d amicizia.
E loro mi avrebbero amato e apprezzato, forse rispettato.
Ma i miei potenziali amici erano e restavano bambini, e i bambini possono essere molto cattivi.
Lanteya non aveva mai osato alzare le mani su di me, se per devozione verso il mio vero padre, se per timore di incorrere nella sua ira, se per ribrezzo nei miei confronti non saprei dirlo.
Il chiassoso gruppetto di bambini urlanti che decisi di fare miei amici fu molto contento di dimostrarmi che loro non avevano remore nel battermi, non perchè non rispettassero mio Padre, o perchè non ne temessero le ire o perchè gli facesse specie sfiorare il mio incarnato disgustoso.
Lo fecero perchè ero un Mostro, il Grifone dell' Attica, e ai bambini piace molto combattere contro i mostri, come i grandi eroi delle leggende.
Tornai a casa che si era fatta sera, da un occhio non vedevo quasi più tanto era tumefatto, oggi forse non riuscirei a ferirmi nemmeno radendomi, se ce ne fosse mai il bisogno.
Ma si sa che le ferite non sono solo quelle che si possano infliggere alla carne, e a casa ad aspettarmi c'era la prova lampante di ciò che sarebbe stata la lezione della mia intera vita.
Mia madre penzolava dal soffitto, un cappio di canapa spessa gli stringeva il collo delicato, il volto arrossato sulle gote, e per una volta avrei desiderato che fosse il vino.
Mi avvicinai al suo corpo tremando come una foglia al vento, sollevai mestamente una mano per sfiorarlo, e l'orrore mi esplose di davanti.
Il volto di mia Madre si animò di una vita innaturale strattonando grottescamente la corda, tremai e con me tutta la casa.
Gli occhi plumbei, i capelli come serpi di fuoco, la voce tonante come saetta di Zeus, ma beffarda e stridula come quella dei bambini poco prima.
Caddi all'indietro e arrancai lontano da quella visione, ma dalle sue parole non potevo sfuggire in alcun modo, esse risuonavano direttamente nella mia testa, come la dolce voce del vecchio canuto sulla spiaggia.
""Theriandros abominio della Grecia, ascolta la mia voce che come rombo di tuono ti scioglie le ginocchia e ti getta a terra inerme, io sono la consorte di Zeus, io sono Hera Madre, bella e invincibile."
I suoi capelli fiammeggiavano attorno al volto teso da una rabbia sovrannaturale,era mia madre e non era mia madre, una visione orribile e spaventosa persino per il più impavido dei guerrieri.
"Hai rivelato al mondo il tuo segreto, hai rivelato al mondo la mia vergogna e quella del mio sposo fedifrago, gettando fango sul nostro nome, sul nome degli dei, tu sciocco moccioso senza nozione dei segreti della vita!Nulla è la vita di tua madre dinnanzi all'ignominia che mai potrà essere lavata.Soffri per mano mia, poichè tuo padre è troppo vigliacco per cancellare i suoi errori d'un sol colpo, e la deformità che ti vessa è solo un pavido tentativo di nasconderli da parte sua.
Se solo la tua bocca avesse taciuto, oggi la tua seppur misera vita avrebbe goduto di maggior gioia.
Ora soffri per i tuoi errori e per quelli di tuo padre".
Le sue parole si interruppero all'istante assieme alla vita che animava il corpo di Lanteya, il quale ricadde come un vestito di donna su un corpo affusolato nel suo mortale silenzio.
Vomitai sul pavimento fino a non avere più liquidi nel corpo già sofferente per le percosse, poi fuggi via con le ultime forze rimaste, in una corsa forsennata verso l'ignoto.
Ma qualcuno nei cieli mi restava amico, e l'ignoto si materializzò davanti ai miei occhi ormai stremati dalla fatica e dalle lacrime in una grande spiaggia silenziosa, solo il frangersi delle onde a fare da eco al mio cuore.
Quasi stordito dal dolore e confuso dal turbinio di situazioni convulse che avevano animato i miei giorni recenti, presi ad avanzare verso l'acqua, immergendomi fino alla cintola ed oltre.
Non era indomita volontà di spegnere la mia vita quella, ma cieca follia in cui mi aveva scagliato crudelmente il destino.
La bianca spuma del mare egeo ormai stava per coprirmi il volto esanime, quando dal mio petto proruppe il nome di zeus, un grido stridulo e acuto, quanto di meglio mi consentissero le mie distorte corde vocali.
Quanto di più sgraziato abbiano mai udito le mie orecchie.
Ci fu un momento tra l'attimo in cui esso si spense tra le mie labbra arse dalla salsedine e quello in cui ormai la voglia di sparire tra i flutti si impadroniva di me, in cui mi sembrò che persino le onde fermassero il loro movimento, poi un fragore assordante sconvolse il mare, come un tuono che nascesse non dalla coltre di nubi ma dalla profondità degli abissi, e lentamente ma inesorabilmente le acque si gonfiarono del ruggito inarrestabile di un'onda gigantesca, che mi sommerse togliendomi ogni ultimo barlume di coscienza.
Ripresi i sensi non saprei dire quanto dopo, il sole sembrava aver arrestato il suo corso assieme ai miei pensieri, ero riverso nella sabbia, bagnato e dolorante.
Al mio fianco rilucevano degli oggetti sfolgoranti di quella luce cerulea che nasce quando il cielo si unisca al mare all'orizzonte.
Mi alzai con fatica, e a fatica mi avvicinai a quella novità che mi accecava la vista al riverbero del sole.
Non avevo mai visto armi, se non nella fantasia di fanciullo all'udire gli stanchi racconti di guerra sul mio patrigno, ma quelle che giacevano immote ai miei piedi andavano oltre ogni mia immaginazione, tanta era la loro bellezza.
Sollevai una spada, lasciando a terra la sua gemella, la soppesai goffamente e sorrisi nel constatare come il riflesso del suo filo al sole sembrasse tagliare persino l'aria.
Sulla lama risaltava in bei caratteri finementi cesellati una parola di cui seppi il significato solo anni più tardi, assieme al perchè avesse proprio quel significato.
Lo stesso valse per la sua gemella, e per la grande corazza di bronzo i cui imponenti pezzi sfolgoravano sulla sabbia come l'ossidiana tra le pietre laviche.
C'era anche un elmo, in foggia di testa di grifone.Che volto terribile era quello per un uomo.
Mi accovacciai nel tentativo di sollevare anche la pesante armatura, ma non feci in tempo a stringerla tra le dita che una voce cortese ma ferma proruppe alle mie spalle:
"Non è ancora il tempo per te di indossare i paramenti da battaglia, prima devi imparare a calcarne i campi".
Lasciai cadere a terra quanto le mie dita stringevano e mi tuffai verso una delle spade, ruotai con tutta la forza rimastami in corpo verso l'ombra che mi aveva oscurato il sole.
Come un martin Pescatore si tuffi dall'alto sulla preda, il braccio dell'uomo alle mie spalle si sollevò e ricadde fulmineo facendo volare via il brando, quindi fu il mio volto a ricevere il secondo rapidissimo fendente, scandito da un imperioso "Prima di affrontare un uomo, è buona norma presentarsi a lui nel nome, affinchè sappia contro chi leva le mani, e da chi fugge.Io sono Thanatos del vortice di buio."
Riuscii a farfugliare solo in parte il mio nome, poi scoppiai in un pianto disperato.
"Si, reazione appropriata di fronte al mio nome" disse l'uomo gigantesco che mi copriva la vista del mare col suo mantello nero, poi tese la mano e abbozzò quello che doveva essere una sorta di sorriso, "Vieni piccolo uomo, le lacrime sono per chi muoia o per chi nasca alla vita, scegli la tua via, poichè se oggi decidi di morire nessuno piangerà per te, ma se oggi decidi di vivere, molti piangeranno a causa tua."
Mi sollevai tremante, non avevo sentito nulla delle sue parole, tranne quel "Piccolo uomo".
Per la prima volta qualcuno non mi aveva chiamato mostro, per la prima volta qualcuno mi tendeva una mano.
"Prendi i tuoi paramenti, avrai con te solo quanto riuscirai a trasportare".
Era duro ed imperioso, ma alle mie orecchie suonava come giusto, mi affidava un compito, gli affidavo la vita, se avessi fatto bene il mio compito, mi avrebbe insegnato la vita.
Come un padre con un figlio.
L'armatura pesava come un macigno sulla mia piccola schiena già provata, ma in quell'attimo di fatica immensa gli occhi si posavano sull'incedere rassicurante di quella misteriosa figura che procedeva davanti ai miei occhi.
E per la prima volta ero felice.
Ancora oggi so, o forse credo di sapere, chi mi mandò quel dono sulla spiaggia, chi fosse il vecchio canuto dei miei sogni, e chi avessi deluso non rispettando il patto.
Ma non so se il mio Maestro Thanatos si trovasse li per volontà di Zeus di aiutarmi ulteriormente, per volere di Hera di tormentarmi ancora, o per il puro e semplice caso che fino ad un tratto della mia vita ritenevo governasse le mie vicissitudini.

"Hai mai visto un italiano tirare i fili?"
"Solo in un teatro delle marionette" (Red Dead Redemption 2)

Offline Xibal

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Re: Parliamo di GDR (quello vero)
« Risposta #74 il: 14 Giu 2008, 01:32 »
La nave imbardò con violenza scuotendomi dai miei vagheggiamenti, ondeggiai insicuro cercando un appiglio, e lo trovai nel nero mantello dell'uomo alle mie spalle.
"Grifone del vento insanguinato, sempre con la testa tra le nuvole, Ciclope ti biasimerebbe se io parlassi ora..."
Il maestro si stagliava davanti a me, il volto segnato dal tempo e dalle battaglie, gli occhi sempre più terribilmente bui, il sorriso più luminoso, figlio dei tempi che cambiano.
L'attracco al Pireo ormai distava poche centinaia di cubiti di distanza, come un tempo avrei forse potuto calcare i sentieri dell'attica e dei pascoli attorno ad atene, e per la prima volta vedere la grande città degli dei e dei filosofi.
Come un tempo, attorno terra e mare, come un tempo davanti a me il maestro che mi tendeva la mano.
Come un tempo avrei tagliato gole e spezzato vite per lui.
E avrei sorriso ad ogni suo plauso, anche se non ne avesse mai visto i segni, di sotto la mia maschera di bronzo e i rigidi silenzi.

Sì, Come un tempo, forse, ero felice.




Profilo Psicologico: In virtù del suo passato, Theriandros conosce poco del mondo circostante che non sia quanto abbia appreso dal maestro e dai viaggi compiuti attorno al mondo, ne ha appreso i meccanismi di sopravvivenza, commercio, socialità, ma ignora le sottili trame dell'animo umano, non ha una idea morale strettamente personale di come dovrebbe essere la vita,anche se in grado di distinguere bene da male tutto per lui ruota attorno al suo bisogno di soddisfare le richieste del Maestro, che considera un padre e una guida quasi illuminata, le sue parole sono giuste, i suoi insegnamenti ineccepibili, persino uccidere diventa una attività degna della massima considerazione e da non biasimare, quando sia il maestro ad ordinarne la necessità, in perfetta linea con gli scopi e gli insegnamenti della setta di spadaccini Cherberos.
Insegnamenti che contemplano il concetto di aretè come crescita personale lungo un cammino di perfezione che porti l'uomo vicino agli dei, pur non scavalcandone l'indiscussa supremazia sul creato.
Cammino questo che può essere intrapreso attraverso qualunque via preveda l'utilizzo di una arte(secondo la setta Cherberos, che annovera tra le sue fila, anche se Theriandros ne ha solo sentito parlare, anche filosofi e studiosi che coltivino l'ozio intellettuale, le parole Aretè e Arte condividono la stessa radice non casualmente), e quindi anche l'arte di uccidere, che non si traduca più in mero esercizio di sopravvivenza, di lucro o strumento politico, ma una vera e propria via, attraverso lo studio delle tecniche e delle ragioni che si nascondano dietro ogni colpo o volontà di infliggere ferita piuttosto che morte, che porti al raggiungimento di una differente percezione della vita, una visione superiore.
Nondimeno questi intenti non hanno impedito alla setta di farsi di volta in volta strumento di lucro, di manovra politica  e di assassinio, pur indicando sempre uno scopo secondario o meno superficiale di quanto immediatamente visibile dietro ogni atto perpetrato.
Ma queste sono sfumature che solo raggiunta una certa età hanno iniziato a turbare lievemente theriandros, anche se non ancora al punto da recedere dal suo proposito di proseguire verso la via segnata dal suo Maestro.
Da un lato come strumento per conoscere meglio la sua natura, le ragioni di essa e del suo rapporto con gli dei e col destino, dall'altro per l'impatto psicologico che le vicende passate e la vita intrapresa hanno avuto su di lui, per cui Thanatos e la setta Cherberos rappresentano ormai la sua unica vera famiglia, in cui regni una dura disciplina il cui rispetto venga ripagato con l'insegnamento, la crescita e la lealtà, tutte cose che a Theriandros sono sempre mancate e a cui ora non potrebbe rinunciare per nulla al mondo, nonostante le esperienze e la crescita lo portino a porsi molte più domande di prima.
Theriandros è dunque una macchina da guerra addestrata a falcidiare vite umane come fossero erbaccia, o a rispettarle come fossero la propria, il tutto alla completa discrezione del suo maestro, il quale si assume ogni responsabilità per gli atti compiuti da Theriandros, ma reclina ogni dovere o responsabilità nel caso in cui il suo adepto decida di agire in maniera individuale, la qual cosa ovviamente viene scoraggiata dagli insegnamenti stessi, nonostante crescendo lungo la scala gerarchica e di conoscenza si acquisisca sempre più libertà.
O forse catene più spesse che leghino alla setta da vincoli insiti nelle stesse conoscenze acquisite, e di fatto dunque rendendo quello che prima era un servitore ricompensato per i suoi servigi, uno schiavo nel cuore e nello spirito.

Alla medesima stregua viene gestito il rapporto col divino.Agli adepti della setta è vietato di avere un rapporto personale pubblico con le divinità, non è consentito frequentare i templi o fare offerte personali a meno del tramite diretto della setta stessa, che si occuperà di officiare i riti e inoltrare le richieste, oltre a dare i relativi responsi.
forse questo più che la spietatezza nel compiere delitti ha reso la setta Cherberos temuta e persino odiata dalla gente, mostrando di avere un controllo sui suoi adepti maggiore che non i sacerdoti ufficiali, e di fatto strappando gli uomini da una delle poche cose che diano un senso alla loro vita oltre alla normale routine quotidiana: la preghiera agli dei come richiesta di aiuto o offerta di gratitudine per la buona sorte occorsa.
LE accuse di empietà hanno fatto si che la setta, oltre ai motivi già evidenti, dovesse tenere un profilo molto basso e mantenere un altissimo livello di segretezza in pubblico, creando una rete complessa di contatti e risorse che garantiscano la sicurezza dei suoi adepti dai molteplici tentativi di assassinio a loro stessi rivolti.
Ci sono occasioni tuttavia in cui la loro azione è pubblica, e in quel caso, nonostante le precauzioni non manchino comunque, non è raro osservare il loro simbolo campeggiare sulle navi o le carovane utilizzate come trasporti, un grosso cerbero nero da una delle cui teste spunta una lama fiammeggiante, sicuro monito per chiunque osasse attaccarli per motivi magari altri dalla loro presenza sulla nave, al punto che in tali occasioni molti addirittura si offrano per il trasporto come garanzia di sicurezza per l'incolumità dei propri affari.
Theriandros dal canto suo ha un rapporto particolare con gli dei, date le sue origini.
Sente ancora cara la figura del padre divino, Zeus, al quale, non senza timidezza, rivolge spesso fra se' e se' preghiere, o più semplicemente discorsi, memore delle "chiacchierate" oniriche del passato, e con un certo qual trasporto, come se la confidenza di un tempo glielo facesse sentire addirittura più vicino di quanto la dura etichetta settaria non renda Thanatos, che lui ormai considera in ogni caso il suo padre terrestre e mentore.
La figura di Hera è stata quasi rimossa dal suo immaginario, o meglio essa viene allontanata come l'immagine di una zia lontana che si dimostri cattiva e burbera ogni qual volta la si vada a trovare.
Il ricordo della morte della madre e delle maledizioni lanciate da Hera non abbandona mai il cuore e i pensieri di Theriandros, ma egli non prova odio, non ci riesce, solo paura e terrore per l'incredibile forza con cui da fanciullo percepì un odio verso di se' di cui non poteva capire la ragione.
I suoi continuano ad essere i sentimenti e le aspirazioni di chi cerchi disperatamente di essere amato, ma tema fortissimamente il rapporto e il legame con chi non sia assolutamente fidato.
E' per questo che le figure degli altri dei, come figli di Zeus, per lui hanno contorni sfumati e indistinti, come se avesse proiettato su di essi l'immagine dei bambini con cui avrebbe desiderato legare da piccolo, creature a lui superiori e lontane, che lo snobbano e al cui tentativo di avvicinamento probabilmente risponderebbero con lo scherno o infliggendo dolore.
Questa sua distanza dagli dei ha spesso creato domande e sospetti presso gli adepti della setta, suggerendo il rischio di perdere uno strumento prezioso di controllo nei suoi confronti, e che la cosa potesse essere contagiosa, ma Thanatos sembra aver sempre calmato le acque e messo a tacere il tutto, il che ha fatto crescere le domande che theriandros da sempre si è posto su di lui e il suo ruolo nella vita del giovane.
L'esperienza con la madre lanteya e con hera poi ha inoltre contribuito a creare in lui una sorta di diffidenza nei confronti delle donne, cosa in cui Medusa dei due serpenti non ha certo poca parte, creando l'immagine di creature furbe, maliziose e infingarde, pronte ad attirare in trappola gli uomini per poi renderli schiavi dei loro desideri(in questo senso i continui tradimenti di Zeus vengono visti da Theriandros come la naturale reazione maschile ad un ordine prestabilito di libertà sentimentale a cui le donne malvagiamente oppongano se stesse).
Parallelamente a questi sentimenti, ovviamente col crescere e la mancanza di esperienze l'attrazione fisica per esse non fa che aumentare, e nella sua mente progressivamente si è venuta a creare la figura immaginaria di una donna che abbia le caratteristiche di dolcezza materna più che di compagna, e su cui le sue fantasticherie spesso vagheggino di situazioni idilliache, mentre non di rado è il corpo sensuale di medusa ad invadere i suoi sogni ad occhi aperti, in quel caso sfrenati e a volte grotteschi.
La voce sgraziata ha fatto si che theriandros, assieme alla naturale timidezza esacerbata dall'etichetta della setta eviti spesso di proferire parola, limitandosi a gesti di assenso o a restare in silenzio, quando non sia il maestro ad intervenire per lui, altrimenti il suo comportamento è sempre impostato ad una rigida compostezza, affinchè il suo atteggiamento non possa in alcun modo arrecare imbarazzo al maestro.
Le necessità di segretezza della setta sono venute incontro a theriandros nel suo mostrarsi in pubblico, per cui egli si sposta sempre indossando l'armatura con elmo e/o le vesti ufficiali, che coprono il volto e su cui sono iimpresse forme geometriche utili alla visione e al respiro, ma che secondo alcuni allignerebbero ad un particolare sistema filosofico o esoterico di conoscenza che indichi per ciascuno la strada percorsa lungo il cammino.
Quello di Theriandros prevede solo due piccoli fori romboidali all'altezza degli occhi, qualunque cosa questo significhi...
"Hai mai visto un italiano tirare i fili?"
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