Sono convinto che un buon numero di persone abbiano trascorso migliaia di ore in compagnia dei videogiochi.
Nel curriculum di questi individui vengono sfoggiati centinaia e centinaia di titoli provati. Emozioni, tecniche, mode: tanti aspetti che partono dalla sostanza ludica sino ad arrivare al suo contorno.
Mi guardo intorno e vedo che la società è cambiata rispetto agli albori del videoludo. Oggi persone come Matteo Bittanti insegnano la materia del videogioco all'università. Ieri era quasi un argomento tabù di cui vergognarsi.
E domani? E' lecito aspettarsi che chi abbia speso una parte consistente della propria vita con periferiche di input avrà un futuro retribuibile dalla stessa passione che per tanto tempo ha consumato e che tutt'ora consuma?
Se da un lato sorrido ebete pensando a luoghi di culto capitanati da esperti del vidoegioco, dall'altro mi insorgono conati, immaginando la parodia del grande fratello chiamata "l'immenso joypad" dove vengono ripresi ragazzi che ora dopo ora, giorno dopo giorno masticano videogiochi all'eccesso, partecipando a talk show e facendo gli opinionisti nelle trasmissioni di calcio.
Multinazionali come Sony e in seguito Microsoft si son lanciate in campagne pubblicitarie che vogliono far capire che videogiocare è "cool".
Quindi, forse, Matteo Bittanti insegna all'università grazie anche a Playstation. E un domani Pinco Pallino terrà dei seminari sponsorizzato indirettamente dalle future (attuali?) multinazionali del videogioco.
Mi domando, quindi, videogiocare per migliaia di ore è stato tempo perso o un domani sarà un curriculum invidiabile che potrebbe portare a sbocchi lavorativi che non si limitano al giornalismo cartaceo?
La massificazione modaiola trasformerà il media videoludico (agli occhi della gente) in una parodia di sé stesso?
Organizzare tornei di videogiochi diverrà talmente semplice da offuscare tornei di sport "minori"?
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Nota: mi perdoni il Filosofo, ma l'ho trovato l'esempio più calzante.