Terminata la visione di my blueberry night, un senso di sollievo improvviso mi pervade. La paura era tanta, ma Wong Kar Wai NON mi ha deluso. Il rischio era grosso, la prima deriva del regista nel mondo di hollywood, commenti negativi della critica, Mereghetti a parte,fan perlopiù delusi da questa caduta. Caduta che a mio modesto avviso non c’è stata, ma posso ben comprendere i motivi che portano alla delusione. Per certi versi, Wong Kar Wai esagera col mostrare il suo stile, e ci sono dei momenti in cui sembra davvero essere il fratello a dirigere, o comunque un regista che prova a ricalcare il suo stile. Alcune scene, per chi lo conosce bene e solo per loro, appaiono grottesche, in una deformazione mostruosa del suo intendere il cinema. Quindi è pacifica la delusione di molti, nulla da eccepire.
Ma nonostante tutto non stiamo parlando di un film brutto, e sono sicuro che piacerà moltissimo a chi il regista lo conosce solamente di fama. La storia raccontata, con una struttura narrativa molto semplice, vuole riprendere Elizabeth nel suo viaggio di cambiamento, senza la pretesa di giudicare gli eventuali cambiamenti. La peculiarità di Wong Kar Wai, e le successive accuse da parte di molti di creare film manieristici, vuoti, ove la forma prevale sul contenuto, è in larga parte figlia questa critica, della sua esigenza di raccontare storie eteree appena accennate, toccate con grazia. E’ un modo di fare cinema che verte maggiormente sull’alchimia immagine colonna sonora, dove i contenuti, pur emergendo, non sono determinanti nella esperienza che il regista vuole dare. Quando si guarda un film di Wong Kar Wai, sembra propriamente che l’uomo dietro la macchina da presa non ha necessità di parlare con lo spettatore, non ha intenzione di teleguidare un sentimento; è un feeling strano, per molti versi un avvicinamento freddo verso chi ti guarda. My blueberry nights non fa eccezione su questo versante, e accentua il distacco proponendo una storia che poteva essere benissimo messa da parte e non raccontata. Come già detto prima, è un film che pecca d’equilibrio, non si può sottacere sulle numerose sequenze in rallenty, che sembrano messe lì per dire “hey, ecco il mio stile”. L’aggettivo grottesco usato prima secondo me calza a pennello, ma anche così, senza Cristopher Doyle, per Kar Wai è praticamente impossibile riuscire a dirigere un film brutto.