Kingdom of Heaven: Black Muslim Down?
Leggere le avvertenze: chi scrive non ha mai apprezzato Il Gladiatore. Chi scrive non ha neanche apprezzato tutta la produzione di Ridley Scott da Legend a questa parte. Per farla breve, chi scrive è un suo detrattore così accanito che spesso arriva a chiedersi come sia possibile che Alien e Blade Runner siano opere di questo stesso regista. All’entrata in sala la convinzione è allora quella di doversi aspettare un Black Hawk Down con spadoni e sciabole, con crociati a stelle e strisce, e mussulmani tutti uguali. Così non è, anzi è decisamente l’opposto. Kingdom of Heaven è da tempi immemori il primo film di Ridley Scott che, a chi scrive, non ha fatto semplicemente schifo.
Siamo nel XII secolo nel periodo che intercorre fra la Seconda e la Terza Crociata. Balian di Ibelin (Orlando Bloom) è un fabbro a cui il destino ha riservato grandi cose, ma prima ancora ha visto bene di sottrargliene altrettante. Perso il figlio e vedovo di moglie suicida, il pacifico maniscalco si recherà a Gerusalemme per redimere lo spirito dell’amata, destinato alle morse dell’inferno. Chiamato poi ad ereditare la carica del padre crociato (Liam Neeson), Balian offrirà i suoi servigi di cavaliere al Re Baldwin (Edward Norton) ed altri tipi di servigi a Sybilla (Eva Green), la sorella del re. Ma con il vacillare in Terra Santa della tregua fra crociati e musulmani, ben presto Balian dovrà farsi carico delle sorti dell’intera guerra, e capire infine a quale costo sia possibile la creazione di un regno dei cieli.
Kingdom of Heaven parte che peggio non si può. Un’intera ora di pellicola da dimenticare, nonché il peggior spreco di Liam Neeson su schermo dai tempi de La Minaccia Fantasma. Manca da subito il più importante fra i perché, manca l’eroe per cui tifare, e nasce il dubbio che intere scene siano state sacrificate per non sforare con i tempi. Come si potrebbe spiegare altrimenti che qualsiasi personaggio introdotto risulti indigesto alla seconda battuta? Qualcosa dev’essere andato terribilmente storto in fase di montaggio. C’è la speranza che un’ eventuale versione più estesa sveli l’arcano ma, nel frattempo che siete in sala, nascondete l’orologio, almeno fino al fatidico punto di non ritorno.
E’ l’esordiente sceneggiatore (William Monahan) a tracciare questa immaginaria linea fra amore e odio. In un’unica scena, che ricorderà a molti uno dei passaggi più evocativi de Il Ritorno del Re, Kingdom of Heaven si gioca il suo pubblico. Se su di voi dovesse funzionare, l’ora iniziale sarà dimenticata al primo cozzare d’armi, altrimenti... beh altrimenti tirate pure fuori l’orologio. Così, in una sola scena, nasce o muore questo ritardatario eroe, dato per disperso prima, contraddittorio e mai abbastanza approfondito poi, ma capace (o meno) con il suo essere ‘eroe’ di vincere il nostro tifo. E non è cosa scontata da vincere questa, perché quello che dovrebbe essere il ‘nemico di turno’ oltre a una faccia non più aliena, ha adesso pure una voce. Se proprio deve individuarlo questo ‘nemico’, lo spettatore sarà costretto a cercarlo altrove.
Kingdom of Heaven è solo un colossal. Sono le splendide battaglie a farne da padrone, insieme ai costumi, le gesta eroiche, ed una forte condanna all’intolleranza religiosa che non mancherà di scaldare la critica. Ciò che invece non è Kingdom of Heaven, è il capolavoro che ci si augurava, neanche lontanamente. Un film epico inizialmente noioso, che sorvola completamente sui retroscena psicologici dei suoi protagonisti, e dove ironicamente il più carismatico (e di richiamo ‘griffithiano’) è il lebbroso Edward Norton e la sua triste maschera. Stabilito questo però, guardiamoci pure intorno, perché se prendiamo come standard qualitativo l’atroce Alexander, o il solo discreto Troy, questo Kingdom of Heaven è davvero tutta un’altra storia.
Solo un colossal dicevamo, ma uno che è almeno degno di portare questo nome.