Autore Topic: [Review] Ray  (Letto 935 volte)

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Offline fulgenzio

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[Review] Ray
« il: 01 Dic 2004, 14:42 »
Ray di Taylor Hackford

Biografia secca e asciutta di un mito venuto a mancare da poco, ( Ray Charles Si è spento il 10 giugno 2004 a Beverly Hills, California, all'età di 73 anni, per le complicazioni di una malattia al fegato) Ray, propone, in 140 minuti assolutamente godibili, la drammatica parabola musicale e non solo, di uno dei più famosi ed emblematici cantanti di tutti i tempi. Oltre, ovviamente, a proporre hit  universalmente celebri (chi non conosce “Georgia on My Mind" ,"I Can't Stop Loving You", "Unchain My Heart", "Hit the Road Jack"?) Ray si propone come vero e proprio Bignami della storia della black music del trentennio 50’-70’, ed in questo senso è ammirevole la sceneggiatura , che permette allo spettatore di percorrere assieme al Mito, quel percorso che lo porterà da una musica emulativa e derivativa (il primo gruppo di Charles, si ispirava dichiaratamente alla più celebre formazione di Nat King Cole) alle ardite sperimentazioni sonore  ed alle contaminazioni tra gospel, jazz, R&B e soul, che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Taylor Hackford, molto famoso negli anni 80’ per Against All Odds ed Ufficiale e Gentiluomo, torna alla regia dopo il pessimo Proof of Life, e, girando in maniera sobria anche se tutto sommato convenzionale, riesce a piazzare qualche stoccata vincente, specie nei momenti “onirici”, durante i quali il protagonista è tormentato dal rimorso per la assurda morte del fratello o ricorda la sua mesta infanzia. Polso e misura sono dimostrate nelle scene madri ed una simpatica originalità emerge in alcuni dettagli del film, come la reiterata attenzione della telecamera sui polsi delle fanciulle oggetto delle attenzioni del divo che, dopo attenta “analisi bracciale”, valuta il da farsi con la fan desiderosa di attenzioni…. Curiosa la scelta di mescolare filmati “originali” a colori dell’epoca con immagini in studio che “riproducono” quei tempi. C’erano scenografi e costumisti da blandire? In ogni caso, Ray, dal punto di vista iconografico è lo specchio fedele di quei tempi.
Foxx giganteggia. Nonostante finora i giudizi espressi da gran parte della stampa americana fossero stati oggettivamente un po’ troppo celebrativi nei suoi confronti (per intenderci, Cruise in Collateral è molto, molto più convincente ed in generale sarebbe opportuno aspettare almeno una mezza dozzina di film ben recitati prima di urlare al miracolo, altrimenti si finisce come Halle Berry o Cuba Gooding Jr.), in Ray, grazie anche ad una somiglianza con l’originale a dir poco impressionante, arriva la performance da Oscar. Foxx non interpreta Ray Charles. E’ Charles. Nelle movenze, nella postura,nella voce (parlata ovvio) nei modi. Mai un eccesso, mai una forzatura. Eccezionale il cast nella sua complessità con, a corredo, i soliti straordinari caratteristi , vero e forse unico patrimonio attuale del cinema americano. L’unica reale perplessità riguarda il modo con il quale è presentato il grande problema vissuto dal cantante: la droga, tema che viene trattato con una certa superficialità, almeno se rapportato alle (reali) e devastanti conseguenze che ebbe sulla vita di Charles.
Ray, non è certamente un film per tutti: scorre lento ed inesorabile come il Mississippi  e richiama odori e sapori del sud di un’America alle prese con una inarrestabile evoluzione (o decadenza?) musicale, politica e sociale. Charles attraversa il suo tempo suonando: passano le donne, i figli, le guerre, le grandi rivoluzioni sociali degli anni 60’ e 70’ ; restano il piano, suonato, strimpellato, violentato a seconda delle occasioni ed un timbro vocale inconfondibile, vero protagonista della pellicola.
Da vedere.

In sala da gennaio
ANCHE UN TANUKI PUO’ SORPRENDERE UNA TIGRE CHE DORME.