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[F]eed => Feed => [Archivio] My Review => Topic aperto da: Jello Biafra - 06 Apr 2003, 11:22

Titolo: [Amiga] Agony
Inserito da: Jello Biafra - 06 Apr 2003, 11:22
Se mi chiedessero il motivo per cui considero i videogiochi una forma d’arte (seppur particolare) non avrei esitazioni a rispondere con un semplice nome: Agony.
Sviluppato dalla Art & Magic per la Psygnosis e uscito nel 1992 per Amiga, Agony rappresenta, per me, la summa tecno-ludo-artistica raggiunta dal videogioco occidentale. Si trattava di uno shoot’em up ad ambientazione fantasy, in cui il giocatore prendeva le magiche forme di Alestes, tramutato in civetta e pronto a combattere. “Alestes metamorphoses into an owl. The time to fight has come”, con queste parole si veniva introdotti in un mondo magico, fatto di oscuri incantesimi, splendidi paesaggi e mostri spaventosi.
Più che un gioco, Agony era un’esperienza: una volta caricato, sullo schermo appariva una bellissima immagine con in sottofondo la musica più bella mai sentita in un gioco. Composta da Tim Wright in ricordo della madre scomparsa, era (ed è) una vera e propria perla, che, con quel pianoforte, quegli archi, quella intensa drammaticità, rapiva l’incauto videoplayer, lasciando nel suo cuore qualcosa di più di un semplice ricordo.
Ed il resto del titolo non era da meno. L’animazione di Alestes era incredibile: un battito d’ali ipnotico, magistrale, che ti faceva immedesimare come mai prima d’allora col protagonista. E poi l’effetto di trasparenza dell’invincibilità, con quella scia di scintille, il turbine di piume una volta colpiti a morte, tutto era qualcosa di semplicemente straordinario. I fondali poi erano ancora meglio: grazie all’uso di soli 32 colori avevano un aspetto scarno, fiabesco, magico. Credo sia stata la prima e unica volta che una limitazione hardware abbia giovato cosi tanto all’estetica di un gioco.
Il modo in cui erano disegnati aveva del sublime, le animazioni poi davano quel tocco in più di mistero che faceva pensare: “e se quel drago sullo sfondo mi attaccasse?”, “chi ci sarà sepolto dentro quelle tombe da cui provengono gli spettri?”, stimolava la fantasia, insomma.
E poi le onde del primo stage, le cascate del secondo, i corvi del quinto, gli alberi mossi dal vento in lontananza… E le musiche in game, che non erano certo da meno rispetto a quella iniziale e che contribuivano ad un’atmosfera già di per se incantata e misteriosa.
Dal punto di vista del gameplay, ho già detto che si tratta di uno sparatutto con tutti i crismi del caso: tre livelli di potenziamento per lo sparo principale, la possibilità di raccogliere delle spade fluttuanti che fungeranno da Pod e, soprattutto la presenza di otto differenti tipologie di incantesimi, attivabili da un apposito menu dopo averli raccolti sottoforma di pergamene. La possibilità di usare l’arma giusta al momento giusto era un’innovazione tattica davvero notevole rispetto allo sparatutto classico, che costringeva il giocatore ad usare anche il cervello per sopravvivere a quel viaggio.
E sopravvivere non era per niente facile, in quanto Agony era mostruosamente difficile, in alcuni punti anche frustrante, ma la voglia di proseguire, di lasciarsi cullare dalla magia che il titolo sprigionava da ogni pixel era troppo forte per abbandonarlo.
Infatti, una volta entrati nell’ottica, Agony smetteva di essere semplice videogioco per elevarsi a viaggio spirituale nella fantasia di chi, per un attimo, non era più giocatore, ma bambino, che ascolta una fiaba oscura narrata da un computer invece che dalla propria madre. Un pezzo di plastica e silicio, direbbe qualcuno, ma, aggiungo io, con un cuore e un anima.

GRAFICA: 10
SONORO: 10
GIOCABILITA’: 9.5
LONGEVITA’: 8.5
GLOBALE: 9.5